Matteo avvicinò le mani al termo quasi senza accorgersene, mentre guardava la pioggia sottile affogare anche quella seconda mattinata di febbraio e rendere lucido tutto, il cancello sommerso dall’edera, la vecchia cascina poco lontana, l’erba lungo la strada e le foglie scure degli alberi secolari al limitare del bosco.
Gli piaceva restare in piedi, davanti a quella finestra, dopo colazione, e scrutare quello scorcio del sentiero che portava a Inverness, apprezzandone la stasi quasi perfetta, rotta solo dal vento gelido. Mentre, dietro di lui, all’interno della cucina del Cottage Redmought, sentiva la signora Anne che rassettava, brontolando con quel suo forte accento, e Robert, ancora a tavola, che scriveva qualcosa con il suo portatile.
Anne, che si muoveva agile, nonostante l’età e la corporatura abbondante, parlava di continuo. Raccontava la storia dei tanti soprammobili che aveva in casa, descriveva minuziosamente i luoghi che le piacevano intorno a Lochness, faceva pettegolezzi su tutte le persone che conosceva. I ragazzi, e il marito quando era a casa, facevano finta di ascoltarla e rispondevano con commenti generici di tanto in tanto. L’inglese della donna era, tra l’altro, al limite di quello che Matteo poteva seguire, anche se fosse stato interessato, e quindi per lui quel continuo parlottare era diventato come un rumore di fondo. Una caratteristica fastidiosa ma importante di quella bella casa a due piani, come gli spifferi, l’odore di tabacco e la polvere.
Quella mattina però Anne sembrava agitata, e non insistette quando vide che Matteo e Robert non reagivano ai suoi commenti. Si limitò a corrucciare la fronte, con quell’espressione che ormai entrambi conoscevano bene, e continuò i suoi lavori.
Matteo guardò l’orologio da polso, preoccupato, e si girò un istante. Quando il giovane tedesco se ne accorse, abbassò il visore del suo computer, guardandolo quasi con sfida. Ma Matteo aveva cercato con gli occhi il telefono sulla angoliera, che non si decideva a suonare, e non quel secondo ospite del Bed&Breakfast, dove risiedeva ormai da un mese. E quindi si limitò a rispondere al gesto con uno sguardo più stanco che stupito, e sospirando tornò a guardare fuori. Robert si schiarì la gola, come se volesse aggiungere qualcosa a quello scambio, ma poi Matteo sentì la TV accendersi, e la voce acuta del solito cronista locale diventò l’unica, nella stanza.
“Le ricerche continuano senza sosta, ma la polizia, dopo tre giorni, inizia a credere che sia molto improbabile…”
Squillò il telefono, proprio mentre alla televisione mostravano per l’ennesima volta la foto del turista scomparso.
Matteo ebbe un sussulto e corse a rispondere, quasi spingendo di lato Anne, che era più vicina all’apparecchio.
“Pronto?”, disse, in italiano, titubante.
Ma dall’altro capo, dopo un attimo, una voce maschile, roca, chiese se quella era casa Redmought, e se era possibile parlare con Thomas o Anne.
“Anne, è per te” disse Matteo, passando alla donna la cornetta, prima di sedersi di fronte a Robert.
Robert alzò gli occhi e lo fissò in silenzio. Poi, come se la cosa gli costasse, disse “Scusa per ieri sera al pub.”.
Matteo impiegò un po’ per capire a cosa si riferisse l’altro. Non erano amici. Erano lì per motivi diversi e si erano conosciuti per caso. Quindi quando gli rispose, lo fece quasi sorridendo, perché per lui quanto accaduto non aveva alcuna importanza. Tanto meno quella mattina.
“Te ne sei andato all’improvviso senza dire nulla.”
L’altro abbassò gli occhi.
“C’entra per caso quella ragazza bionda col piercing?” aggiunse Matteo, mentre sentiva che il tono della telefonata di Anne diventava astioso.
“Eh? Che ragazza?” chiese Robert, tradendo un brivido.
Anne urlò al telefono una sequenza di parolacce e poi buttò giù con forza, con il viso deformato dall’ira.
I due ragazzi la guardarono preoccupati, senza sapere cosa fare.
In un istante Anne si calmò, tornò la padrona di casa rassicurante che conoscevano, e chiese loro “Avete visto Lola, questa mattina?”
Robert e Matteo scossero la testa.
“Quel maledetto cane” disse allora lei “Quella bestia inutile”. E uscì borbottando dalla cucina, chiudendosi la porta alle spalle.
Matteo spense la TV, poi si assicurò che la cornetta del telefono fosse appoggiata bene, e iniziò a camminare avanti e indietro, dalla finestra al telefono e dal telefono alla finestra, senza che Robert dicesse nulla.
Dopo un po’ guardò di nuovo l’orario, e chinò il capo. “È tardi”, pensò. “Ormai è tardi”.
Si girò verso l’altro ragazzo e disse “Robert… ti volevo chiedere una cosa. Lascia stare il pub di ieri sera. È un po’ che ci penso e…”
Un grido soffocato e un forte rumore troncò la frase a metà. I due uscirono di corsa dalla cucina per vedere cosa era successo.
Davanti alle scale videro Anne, a terra, riversa e immobile.
Robert fu il primo ad avvicinarsi, mentre Matteo era rimasto indietro, impietrito. Il giovane cercò di scuoterla, senza successo, poi provò a girarla lentamente su un fianco. Esclamò qualcosa in tedesco, e fece cenno all’altro di avvicinarsi.
“È svenuta?” chiese Matteo.
“No,” rispose Robert “direi che è morta.”
A Matteo sembrò che la temperatura intorno a lui fosse scesa sotto lo zero. “Ne sei sicuro? Dici che è scivolata dalla scale?” chiese infine.
“È sicuramente morta. E, guarda.” disse spostando ancora il corpo della donna “Vedi? Ha il petto squarciato. Come se l’avessero accoltellata. E secondo me se fosse caduta dalle scale, non sarebbe messa in questo modo.”
“Eh?”
“Ssh. Ascolta. Mi è sembrato di sentire un rumore al piano di sopra.”
Matteo guardò Anne, con la testa piegata di lato, e il petto che diventava sempre più rosso, e cercò qualcosa a cui appoggiarsi. Sì, forse anche lui sentiva rumore di passi provenire dal piano di sopra.
“Anche la porta è aperta.” aggiunse Robert, rialzandosi.
Matteo si accorse solo allora che la porta che dava sul cortile era accostata, e non chiusa, come era di norma. Si avvicinò e la tirò a sé, aprendola, mentre Robert gli chiedeva cosa dovevano fare.
E fu in quel momento che Matteo si accorse che, poco distante, sul sentiero, c’era Thomas. Stava tornando a casa, accompagnato da due poliziotti con le pistole ben visibili in mano.
Gli piaceva restare in piedi, davanti a quella finestra, dopo colazione, e scrutare quello scorcio del sentiero che portava a Inverness, apprezzandone la stasi quasi perfetta, rotta solo dal vento gelido. Mentre, dietro di lui, all’interno della cucina del Cottage Redmought, sentiva la signora Anne che rassettava, brontolando con quel suo forte accento, e Robert, ancora a tavola, che scriveva qualcosa con il suo portatile.
Anne, che si muoveva agile, nonostante l’età e la corporatura abbondante, parlava di continuo. Raccontava la storia dei tanti soprammobili che aveva in casa, descriveva minuziosamente i luoghi che le piacevano intorno a Lochness, faceva pettegolezzi su tutte le persone che conosceva. I ragazzi, e il marito quando era a casa, facevano finta di ascoltarla e rispondevano con commenti generici di tanto in tanto. L’inglese della donna era, tra l’altro, al limite di quello che Matteo poteva seguire, anche se fosse stato interessato, e quindi per lui quel continuo parlottare era diventato come un rumore di fondo. Una caratteristica fastidiosa ma importante di quella bella casa a due piani, come gli spifferi, l’odore di tabacco e la polvere.
Quella mattina però Anne sembrava agitata, e non insistette quando vide che Matteo e Robert non reagivano ai suoi commenti. Si limitò a corrucciare la fronte, con quell’espressione che ormai entrambi conoscevano bene, e continuò i suoi lavori.
Matteo guardò l’orologio da polso, preoccupato, e si girò un istante. Quando il giovane tedesco se ne accorse, abbassò il visore del suo computer, guardandolo quasi con sfida. Ma Matteo aveva cercato con gli occhi il telefono sulla angoliera, che non si decideva a suonare, e non quel secondo ospite del Bed&Breakfast, dove risiedeva ormai da un mese. E quindi si limitò a rispondere al gesto con uno sguardo più stanco che stupito, e sospirando tornò a guardare fuori. Robert si schiarì la gola, come se volesse aggiungere qualcosa a quello scambio, ma poi Matteo sentì la TV accendersi, e la voce acuta del solito cronista locale diventò l’unica, nella stanza.
“Le ricerche continuano senza sosta, ma la polizia, dopo tre giorni, inizia a credere che sia molto improbabile…”
Squillò il telefono, proprio mentre alla televisione mostravano per l’ennesima volta la foto del turista scomparso.
Matteo ebbe un sussulto e corse a rispondere, quasi spingendo di lato Anne, che era più vicina all’apparecchio.
“Pronto?”, disse, in italiano, titubante.
Ma dall’altro capo, dopo un attimo, una voce maschile, roca, chiese se quella era casa Redmought, e se era possibile parlare con Thomas o Anne.
“Anne, è per te” disse Matteo, passando alla donna la cornetta, prima di sedersi di fronte a Robert.
Robert alzò gli occhi e lo fissò in silenzio. Poi, come se la cosa gli costasse, disse “Scusa per ieri sera al pub.”.
Matteo impiegò un po’ per capire a cosa si riferisse l’altro. Non erano amici. Erano lì per motivi diversi e si erano conosciuti per caso. Quindi quando gli rispose, lo fece quasi sorridendo, perché per lui quanto accaduto non aveva alcuna importanza. Tanto meno quella mattina.
“Te ne sei andato all’improvviso senza dire nulla.”
L’altro abbassò gli occhi.
“C’entra per caso quella ragazza bionda col piercing?” aggiunse Matteo, mentre sentiva che il tono della telefonata di Anne diventava astioso.
“Eh? Che ragazza?” chiese Robert, tradendo un brivido.
Anne urlò al telefono una sequenza di parolacce e poi buttò giù con forza, con il viso deformato dall’ira.
I due ragazzi la guardarono preoccupati, senza sapere cosa fare.
In un istante Anne si calmò, tornò la padrona di casa rassicurante che conoscevano, e chiese loro “Avete visto Lola, questa mattina?”
Robert e Matteo scossero la testa.
“Quel maledetto cane” disse allora lei “Quella bestia inutile”. E uscì borbottando dalla cucina, chiudendosi la porta alle spalle.
Matteo spense la TV, poi si assicurò che la cornetta del telefono fosse appoggiata bene, e iniziò a camminare avanti e indietro, dalla finestra al telefono e dal telefono alla finestra, senza che Robert dicesse nulla.
Dopo un po’ guardò di nuovo l’orario, e chinò il capo. “È tardi”, pensò. “Ormai è tardi”.
Si girò verso l’altro ragazzo e disse “Robert… ti volevo chiedere una cosa. Lascia stare il pub di ieri sera. È un po’ che ci penso e…”
Un grido soffocato e un forte rumore troncò la frase a metà. I due uscirono di corsa dalla cucina per vedere cosa era successo.
Davanti alle scale videro Anne, a terra, riversa e immobile.
Robert fu il primo ad avvicinarsi, mentre Matteo era rimasto indietro, impietrito. Il giovane cercò di scuoterla, senza successo, poi provò a girarla lentamente su un fianco. Esclamò qualcosa in tedesco, e fece cenno all’altro di avvicinarsi.
“È svenuta?” chiese Matteo.
“No,” rispose Robert “direi che è morta.”
A Matteo sembrò che la temperatura intorno a lui fosse scesa sotto lo zero. “Ne sei sicuro? Dici che è scivolata dalla scale?” chiese infine.
“È sicuramente morta. E, guarda.” disse spostando ancora il corpo della donna “Vedi? Ha il petto squarciato. Come se l’avessero accoltellata. E secondo me se fosse caduta dalle scale, non sarebbe messa in questo modo.”
“Eh?”
“Ssh. Ascolta. Mi è sembrato di sentire un rumore al piano di sopra.”
Matteo guardò Anne, con la testa piegata di lato, e il petto che diventava sempre più rosso, e cercò qualcosa a cui appoggiarsi. Sì, forse anche lui sentiva rumore di passi provenire dal piano di sopra.
“Anche la porta è aperta.” aggiunse Robert, rialzandosi.
Matteo si accorse solo allora che la porta che dava sul cortile era accostata, e non chiusa, come era di norma. Si avvicinò e la tirò a sé, aprendola, mentre Robert gli chiedeva cosa dovevano fare.
E fu in quel momento che Matteo si accorse che, poco distante, sul sentiero, c’era Thomas. Stava tornando a casa, accompagnato da due poliziotti con le pistole ben visibili in mano.
(Autore: Marco Giorgini)
Chi vuole contribuire a questo romanzo collettivo deve mandare il capitolo seguente (il Capitolo I) entro e non oltre le ore 24 del 30/1 a bookmodena.noir@gmail.com
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