mercoledì 4 febbraio 2009

» Capitolo II

Matteo non credeva ai propri occhi.
“Come fa a essere qui?” sibilò
“Lo chiedi a me? La situazione si fa sempre più tragica. Se non troviamo il modo di andarcene siamo belli che spacciati. Ma che stai facendo?” chiese Robert.
“Cerco”
“Che diavolo cerchi?” sbottò Robert che, inconsapevolmente, aveva alzatola voce.
Dall’esterno Thomas, gli occhi vitrei, iniziò a tastare la parete, quasi si fosse dimenticato come si aprisse il sottoscala. I polpastrelli sfregavano sul legno liscio. I due ragazzi all’interno si fecero ancora più piccoli schiacciandosi sempre più contro la parete.
“Cerco la via da cui è scappato l’assassino” sussurrò Matteo.
Robert lo squadrò come se si trovasse in presenza di un marziano.
“Non ti sembra strano che l’arma del delitto sia qui. Pensa alle tempistiche: Anne è stata pugnalata e nel tempo in cui l’assassino è salito al piano di sopra, noi siamo arrivati dall’altra stanza. Abbiamo addirittura, o almeno lo abbiamo pensato, sentito il colpevole aggirasi nelle camere.”
“Quindi?”
“Come quindi? Spiegami, secondo te, come farebbe uno, che non sa del sotto scala, a nascondere l’arma qui e scappare nel tempo di un respiro.”
“E’ molto veloce?”
“Bella battuta. La logica farebbe pensare che si sia nascosto qui come noi, e che da qui sia poi scappato”.
Il ragionamento di Matteo in effetti, nonostante un piccolo lato oscuro, non faceva una grinza.
Attenti a non fare troppo rumore i due iniziarono a setacciare l’angusto sottoscala finché il suono pieno di alcuni spari non riportò, rapidamente, la loro attenzione all’esterno.
Thomas era a terra raggomitolato nell’angolo opposto all’ingresso del sottoscala: l’uomo, tremante, si teneva la testa fra le mani.
“Dobbiamo uscire da qui” fece Matteo appoggiando le mani sulla porta.
“Sei impazzito? Fuori stanno sparando. Io non esco”.
“Senti Robert, se usciamo molto probabilmente verremo arrestati, ma se rimaniamo qua e quello che spara è il nostro assassino, che oltretutto sa del sottoscala, direi che potremmo finire anche peggio”
Senza attendere oltre Matteo schizzò fuori e, rimanendo basso, si accovacciò al fianco di Thomas.
Robert uscì poco dopo, col coltello in mano quando, contemporaneamente, la porta d’ingresso si aprì e si richiuse con un gran tonfo. Uno degli agenti che i due avevano sentito si era buttato dentro la casa.
Pistola alla mano e schiena appoggiata alla parete più vicina lanciò un’occhiata a cercare Thomas.
Quando vide Matteo, con le mani sulle spalle dell’uomo, e Robert, in piedi rivolto verso di lui con il coltello in mano, l’agente puntò l’arma.
“Non è come sembra” disse Robert.
“Adesso non ho il tempo di appurare ciò che è e ciò che sembra, pertanto getta il coltello. E tu mettigli questa” ordinò l’agente lanciando una fascetta di plastica in direzione di Matteo mentre Robert appoggiava, lentamente, il coltello a terra.
“Con la fascetta che devo farci?”
“Mettila ai polsi del tuo amico, con le braccia dietro alla schiena. E tu non provare a fare scherzi.”
Matteo ubbidì, mentre l’agente, tenendolo sotto tiro, si avvicinò per vedere come stesse Thomas.
L’uomo, ancora raggomitolato, era impassibile. L’agente lo fece alzare.
“Thomas mi senti? Frank è morto. Qualcuno, nascosto nella cascina, l’ha ucciso”.
“Lo stesso che ha ucciso Anne” aggiunse Matteo.
“Questo è ancora tutto da vedere. E potrebbe comunque essere un vostro complice. E ora sedetevi a terra, e attendiamo i rinforzi.”
I due ragazzi non si erano ancora mossi quando sentirono un rumore di vetri infranti provenire dalla stanza dietro alla loro.
"La finestra da cui siamo usciti." disse allarmato Robert.
"Eh?" chiese il poliziotto puntando l'arma in quella direzione.
"Direi che il nostro "amico" sta entrando in casa da dietro." rispose Matteo.
Il poliziotto esitò solo un attimo, poi, sollevò Thomas e gridò “Tutti fuori” tenendoli sotto tiro.
La pistola puntata era già un ottimo incentivo ad ubbidire all’agente quando poi, i vetri della casa iniziarono a esplodere, trasformando l’aria in cascate di cristallo, nessuno dei quattro ebbe più il minimo dubbio: era il tempo di abbandonare il Cottage Redmought.
Corsero fuori: Robert, con le braccia bloccate dietro alla schiena, stava basso procedendo come un ariete mentre l’agente, la cui targhetta portava inciso il nome Patterson, e Matteo sospingevano Thomas sorreggendolo dai due lati.
Un’ampia distesa scoperta divideva la casa dal bosco e un lungo vialetto alberato portava alla strada dove i due poliziotti avevano lasciato l’auto. I quattro correvano senza voltarsi, inseguiti dal rombo dei proiettili e dall’ombra incappucciata di una longilinea figura.
Uno dei colpi schiocco accanto a Matteo. Subito Thomas si fece più pesante mentre Patterson cadeva a terra.
“Robert pensa a Thomas” urlò Matteo mentre rallentava spingendo avanti l’uomo.
Robert accostò Thomas continuando a correre.
Patterson era a terra. Senza indugiare, sentendo l’ombra avvicinarsi, Matteo frugò le tasche del poliziotto e prese le chiavi dell’auto e la pistola: l’ombra era sempre più vicina.
Retrocedendo Matteo esplose un colpo nella sua direzione mancando il bersaglio.
La figura si arrestò chinandosi sul poliziotto. Matteo non vide cosa accadde, era troppo teso e concentrato sull’allontanarsi e sul non essere raggiunto per prestare attenzione alla scena. Solo il sospirato grido di Patterson aveva raccontato di come l’ombra lo avesse finito.
La macchina della polizia era ormai davanti al gruppo, all’ingresso del vialetto.
Robert sospinse Thomas costringendolo ad accelerare negli ultimi metri. Purtroppo però l’enfasi della spinta fece perdere l’equilibrio a Robert che scivolò. Nella caduta il ragazzo, non potendosi proteggere con le mani, aveva colpito violentemente il paraurti del mezzo.
Stramazzato al suolo e sanguinante, il giovane non dava segni di vita.
Matteo fu su di loro pochi attimi dopo. Aprì la macchina.
Ancora una volta l’ombra che aveva perso terreno li stava raggiungendo. Avevano alcune decine di secondi di vantaggio prima di rientrare nuovamente nella gittata della sua arma.
“Thomas entra nell’auto” disse Matteo.
L’ordine, secco e perentorio, ridiede la lucidità necessaria a Thomas per sedersi, lentamente, sui sedili posteriori . Matteo sollevò Robert da terra. Era svenuto ma vivo. Matteo si mosse oltre lo sportello del passeggero, sparando alcuni colpi alla rinfusa, nella speranza di rallentare l’inseguitore.
Deposto l’amico e chiusa la portiera fu costretto ad aggirare la macchina della polizia tenendosi basso: l’arma dell’ombra aveva ricominciato a sparare con cadenza regolare.
Matteo si lanciò sul fianco del guidatore, infangandosi. Da quella posizione aprì lo sportello: due colpi rimbalzarono contro la lamiera. Seduto al posto di guida Matteo accese la macchina. Rimanendo sdraiato, con la testa in grembo a Robert, diede gas. La macchina sgommò in retro marcia. Matteo sentì un rumore: qualcuno o qualcosa aveva tentato di aggrapparsi alla carrozzeria.
Sulla strada inserì la prima accelerando. Gli ultimi colpi esplosi dalla pistola si erano infranti sul lunotto posteriore che aveva retto l’impatto. Quando rialzò la testa da sotto il cruscotto Matteo lasciò andare lo sguardo allo specchietto retrovisore: l’ombra immobile puntava ancora l’arma nella loro direzione.

(Autore: Leila B.)



Tra le possibili tracce che abbiamo ricevuto abbiamo deciso di scegliere quella di Leila B., che riprende la vicenda dal punto in cui Fabio Trenti l'aveva lasciata con il suo Capitolo I (ora ufficiale). In questo caso però Leila B. è l'unica "vincitrice", senza "ballottaggio" per decidere il migliore Capitolo II. Quindi la storia prosegue esattamente come avete avuto modo di leggere. E la situazione diventa sempre più difficile per i nostri Matteo e Robert.
Chi vuole contribuire a questo romanzo collettivo deve quindi andare avanti da questo punto, mandando il capitolo seguente (il Capitolo III) entro e non oltre le ore 23 del 9/2 a bookmodena.noir@gmail.com
Per vostra comodità, qui potete trovare tutto il materiale proposto fino a questo momento, già in formato RTF, zippato.

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